Boves attraverso i secoli >> APPROFONDIMENTO

Nel 1894 Il prof. Alberto Mottini dava alle stampe i risultati delle sue ricerche condotte su moltissimi documenti consultati in archivi dai quali aveva estratto le notizie che riguardavano Boves. Senza le sue “Memorie storiche” ben poco forse si saprebbe oggi sulle vicende di questo paese, le cui origini peraltro rimangono ignote.
Una lapide venuta alla luce in frazione Sant'Anna nel 1919, più altri reperti di cui parla lo stesso Mottini, sembrano dimostrare che Boves già esisteva in epoca romana e che di qui passava almeno una strada (la via Emilia) diretta nelle Gallie; ma il nome del paese compare in documenti d’archivio solo dopo il tenebroso periodo delle invasioni barbariche.
Sappiamo da un diploma imperiale dell’815 che Lodovico il Pio, figlio di Carlo Magno, elenca BOVIXIO tra i paesi che contribuiscono alle rendite dell’abbazia di Pedona (Borgo S. Dalmazzo); il nome diventa BOVIS in un Cartario della Chiesa d’Asti del 920, e in altri successivi è BOVISIUM, BOVICE, BOVES. Nel secolo X il paese subisce sicuramente le scorrerie dei saraceni che giungono dal Nizzardo e portano morte e rovine nel basso Piemonte, distruggendo anche la vicina Pedona col suo monastero.
Dal 1000 in poi l’abitato di BOVES, insieme a Brusaporcello (l’attuale Fontanelle) subisce le complesse vicende politiche del Medio Evo, che vede le continue lotte tra i feudatari, il sorgere dei liberi comuni, l’invasione di truppe straniere.
Sappiamo che nel 1095 quello di Boves è uno dei migliori castelli di proprietà del marchese Bonifacio del Vasto, che dal nonno Aleramo aveva avuto in eredità il Monferrato e altre terre; che l’ottavo suo figlio cede questo e altri castelli al Comune di Asti, ma viene diseredato dal padre per l’indegno comportamento; che segue una girandola di vicende in cui Boves torna a Bonifacio, passa all’altro figlio Guglielmo marchese di Busca, è alleato con Asti, ne diviene poi avversario con Saluzzo e il Monferrato; finalmente gli abitanti di Boves, di Brusaporcello e di altri paesi vicini, per scuotersi dal tracotante giogo dei marchesi, concorrono alla fondazione di Cuneo destinato ad essere un libero comune sotto gli auspici di quello di Asti e dell’abate di Pedona.
Ma il passamano continua e, tra guerre, leghe, cessioni e baratti, Boves che nel frattempo si ritrova col Marchese di Busca, viene sballottato tra una miriade di nuovi padroni: il Vescovo di Asti, gli Angiò di Provenza, il Marchese di Ceva, i Visconti di Milano, il comune di Cuneo, il Marchese di Saluzzo, quello di Monferrato, gli Acaia e infine i Savoia con Amedeo VIII.
E’ un susseguirsi di lotte per conquistare terre e potere, di alleanze fatte e disfatte, di contese tra coloro che pretendono di regnare in Piemonte, tra questi e i feudatari che cercano l’investitura ora dall’uno ora dall’altro, pur di sopraffare i concorrenti. É l’egoismo umano dei potenti che trattano i paesi come oggetto di scambio, come terre da sfruttare, come serbatoi di soldati da mandare in guerra. E non basta: ogni regnante lo affida ai propri fedeli vassalli che si alternano e si susseguono in un groviglio di vicende che sarebbe assai difficile districare.
Una lapide venuta alla luce in frazione Sant'Anna nel 1919, più altri reperti di cui parla lo stesso Mottini, sembrano dimostrare che Boves già esisteva in epoca romana e che di qui passava almeno una strada (la via Emilia) diretta nelle Gallie; ma il nome del paese compare in documenti d’archivio solo dopo il tenebroso periodo delle invasioni barbariche.
Sappiamo da un diploma imperiale dell’815 che Lodovico il Pio, figlio di Carlo Magno, elenca BOVIXIO tra i paesi che contribuiscono alle rendite dell’abbazia di Pedona (Borgo S. Dalmazzo); il nome diventa BOVIS in un Cartario della Chiesa d’Asti del 920, e in altri successivi è BOVISIUM, BOVICE, BOVES. Nel secolo X il paese subisce sicuramente le scorrerie dei saraceni che giungono dal Nizzardo e portano morte e rovine nel basso Piemonte, distruggendo anche la vicina Pedona col suo monastero.
Dal 1000 in poi l’abitato di BOVES, insieme a Brusaporcello (l’attuale Fontanelle) subisce le complesse vicende politiche del Medio Evo, che vede le continue lotte tra i feudatari, il sorgere dei liberi comuni, l’invasione di truppe straniere.
Sappiamo che nel 1095 quello di Boves è uno dei migliori castelli di proprietà del marchese Bonifacio del Vasto, che dal nonno Aleramo aveva avuto in eredità il Monferrato e altre terre; che l’ottavo suo figlio cede questo e altri castelli al Comune di Asti, ma viene diseredato dal padre per l’indegno comportamento; che segue una girandola di vicende in cui Boves torna a Bonifacio, passa all’altro figlio Guglielmo marchese di Busca, è alleato con Asti, ne diviene poi avversario con Saluzzo e il Monferrato; finalmente gli abitanti di Boves, di Brusaporcello e di altri paesi vicini, per scuotersi dal tracotante giogo dei marchesi, concorrono alla fondazione di Cuneo destinato ad essere un libero comune sotto gli auspici di quello di Asti e dell’abate di Pedona.
Ma il passamano continua e, tra guerre, leghe, cessioni e baratti, Boves che nel frattempo si ritrova col Marchese di Busca, viene sballottato tra una miriade di nuovi padroni: il Vescovo di Asti, gli Angiò di Provenza, il Marchese di Ceva, i Visconti di Milano, il comune di Cuneo, il Marchese di Saluzzo, quello di Monferrato, gli Acaia e infine i Savoia con Amedeo VIII.
E’ un susseguirsi di lotte per conquistare terre e potere, di alleanze fatte e disfatte, di contese tra coloro che pretendono di regnare in Piemonte, tra questi e i feudatari che cercano l’investitura ora dall’uno ora dall’altro, pur di sopraffare i concorrenti. É l’egoismo umano dei potenti che trattano i paesi come oggetto di scambio, come terre da sfruttare, come serbatoi di soldati da mandare in guerra. E non basta: ogni regnante lo affida ai propri fedeli vassalli che si alternano e si susseguono in un groviglio di vicende che sarebbe assai difficile districare.

Non mancano tuttavia gli episodi di valore, in cui BOVES cerca un suo riscatto e una sua libertà.
Durante il dominio degli Angioini, per esempio, avviene un tentativo di riscossa che si concretizza, ma per poco tempo, con la vittoria ai confini con Roccavione dove ora sorge il pilone della battaglia, le cose tornano come prima con il lungo regno di Giovanna D’Angiò, la regina che sarebbe stata ospite di Boves nel Castello della Renostia, di cui non c’è più traccia, nelle vicinanze di una spelonca nota tuttora col nome di “Garb et la Rana Gioana”. Intorno alla regina Giovanna sono fiorite leggende pittoresche che oggi vanno ad alimentare il folclore bovesano.
IL centro urbano è giunto nel sito attuale attraverso una migrazione progressiva, durata molti secoli. Lo spostamento degli abitanti è parallelo al trasferimento delle chiese parrocchiali. La prima chiesa della pieve di Boves risale al 1095, era dedicata a S. Stefano martire e situata forse nel punto dove la strada da Boves oggi si dirama per Mellana e Fontanelle. Soltanto una circonvallazione testimonia l’antica presenza della chiesa parrocchiale. Il paese si spostò quindi più ad est dove si costruì una nuova chiesa dedicata a S. Stefano e a S. Bartolomeo. É l’attuale “Chiesa Vecchia” che fu parrocchia per oltre tre secoli, mentre l’abitato si consolidava sulle due sponde del Bedale, ai piedi della collina del castello, lungo l’odierno Corso Bisalta.
Durante il dominio degli Angioini, per esempio, avviene un tentativo di riscossa che si concretizza, ma per poco tempo, con la vittoria ai confini con Roccavione dove ora sorge il pilone della battaglia, le cose tornano come prima con il lungo regno di Giovanna D’Angiò, la regina che sarebbe stata ospite di Boves nel Castello della Renostia, di cui non c’è più traccia, nelle vicinanze di una spelonca nota tuttora col nome di “Garb et la Rana Gioana”. Intorno alla regina Giovanna sono fiorite leggende pittoresche che oggi vanno ad alimentare il folclore bovesano.
IL centro urbano è giunto nel sito attuale attraverso una migrazione progressiva, durata molti secoli. Lo spostamento degli abitanti è parallelo al trasferimento delle chiese parrocchiali. La prima chiesa della pieve di Boves risale al 1095, era dedicata a S. Stefano martire e situata forse nel punto dove la strada da Boves oggi si dirama per Mellana e Fontanelle. Soltanto una circonvallazione testimonia l’antica presenza della chiesa parrocchiale. Il paese si spostò quindi più ad est dove si costruì una nuova chiesa dedicata a S. Stefano e a S. Bartolomeo. É l’attuale “Chiesa Vecchia” che fu parrocchia per oltre tre secoli, mentre l’abitato si consolidava sulle due sponde del Bedale, ai piedi della collina del castello, lungo l’odierno Corso Bisalta.

I secoli XVI e XVII vedono il territorio bovesano percorso di volta in volta da truppe francesi, spagnole, imperiali, che seminano saccheggi, carestie, pestilenze. La comunità tuttavia reagisce con caparbietà a difesa della propria libertà e dei propri valori, affidandosi a protezioni divine con "voti civici" alla Madonna dei Boschi (1630) e con la costruzione di un santuario a Sant' Antonio (1647), ma soprattutto potenziando attività economiche, costruendo infrastrutture a servizio dell'agricoltura (il canale Naviglio) e dell'artigianato (sega ad acqua, battitoio per la canapa, mulini, martinetto a maglio meccanico...), salvaguardando i propri diritti all'uso di acque e pascoli anche con liti contro Comuni vicini, ed infine favorendo una oculata espansione urbanistica. Il 27 aprile 1796 truppe napoleoniche prendono possesso di Boves che solo nel maggio 1814 potrà festeggiare il ritorno al Regno di Sardegna. Nel periodo risorgimentale Boves dà un suo contributo di sangue ai moti insurrezionali ed alle guerre d'indipendenza attraverso l'impiego di suoi figli volontari, come Tommaso Beraudo, comandante dei Bersaglieri toscani, caduto nella battaglia di Curtatone e Montanara nel 1848.
La prima guerra mondiale falcia giovani vite di Alpini bovesani immolatisi sulle alture del monte Grappa, del Pasubio, sul fiume Isonzo e Piave: i loro nomi figurano, a perpetuo ricordo, sulle lapidi del monumento ai Caduti, inaugurato in piazza Italia il 28 agosto 1921.
Trecento sono le "penne mozze" bovesane cadute durante la seconda guerra mondiale, dall'Albania alla Russia e ad esse vanno aggiunti i tanti cittadini inermi fucilati nei lunghi mesi di Resistenza all'occupazione tedesca e coloro che furono inghiottiti dalle operazioni militari sui vari fronti o nei campi di concentramento.
La città di Boves fu il teatro del primo atto di rappresaglia contro la popolazione civile inerme: il 19 settembre 1943, all'indomani dell'armistizio dell'8 settembre.
La prima guerra mondiale falcia giovani vite di Alpini bovesani immolatisi sulle alture del monte Grappa, del Pasubio, sul fiume Isonzo e Piave: i loro nomi figurano, a perpetuo ricordo, sulle lapidi del monumento ai Caduti, inaugurato in piazza Italia il 28 agosto 1921.
Trecento sono le "penne mozze" bovesane cadute durante la seconda guerra mondiale, dall'Albania alla Russia e ad esse vanno aggiunti i tanti cittadini inermi fucilati nei lunghi mesi di Resistenza all'occupazione tedesca e coloro che furono inghiottiti dalle operazioni militari sui vari fronti o nei campi di concentramento.
La città di Boves fu il teatro del primo atto di rappresaglia contro la popolazione civile inerme: il 19 settembre 1943, all'indomani dell'armistizio dell'8 settembre.
Tratto da: “Boves dal Medioevo al 2000”di Mario Martini